Quel brutto pasticcio dell’etica
9 Giugno 2016
Una volta chiesero a Grotowski che cosa significasse "etica artistica", un'espressione che usava di frequente. Lui rispose che le persone che parlano di etica di solito vogliono imporre un certo tip...Una volta chiesero a Grotowski che cosa significasse “etica artistica”, un’espressione che usava di frequente. Lui rispose che le persone che parlano di etica di solito vogliono imporre un certo tipo di ipocrisia agli altri, un sistema di gesti e comportamenti che generalmente vanno sotto questa etichetta. In realtà dovremmo solo chiederci quali azioni intralciano la strada della creatività. Per esempio, se durante la creazione nascondiamo le cose che sono all’opera nella nostra vita personale, si può essere sicuri che creatività crollerà. Presentiamo un’immagine di noi stessi che non è reale, non ci esprimiamo e ci mettiamo a praticare una civetteria filosofica o intellettuale, usiamo trucchi, siamo artificiosi.
Non possiamo nascondere le nostre cose essenziali, personali, anche se sono peccati teoricamente inconfessabili. Se questi peccati hanno radici profonde, dobbiamo aprire la porta al ciclo delle associazioni, perchè il processo creativo consiste non solo nel rivelare noi stessi, ma nello strutturare ciò che è stato rivelato. Se riveliamo la nostra parte oscura, la trascendiamo, la dominiamo attraverso la consapevolezza. Questo è il vero fulcro del problema etico: non nascondere ciò che è fondamentale. Non fa nessuna differenza che il materiale sia morale o immorale.
Correre rischi è un altro elemento che fa parte dell’etica. Al fine di creare si deve correre il rischio di fallire. Questo significa che non possiamo ripercorrere una strada vecchia e famigliare. La prima volta che percorriamo una strada c’è una penetrazione dell’ignoto, un sacro processo di ricerca, studio, confronto, che provoca un’energia speciale risultante dalla contraddizione consistente nel dominare l’ignoto (mancanza di conoscenza di sè) e nel trovare le tecniche per strutturarlo e riconoscerlo.
Infine si può considerare etico il problema del processo e del suo risultato. Non bisogna, durante l’atto creativo, pensare al risultato, perchè ciò andrebbe a vantaggio di un’autocritica distruttiva e invalidante. Allo stesso tempo non si può ignorare il risultato, perchè oggettivamente è il fattore decisivo dell’arte. Ma non va cercato a priori, questo è il paradosso.
Se non pensiamo al risultato è probabile che il risultato arrivi . Ci sono varianti individuali: si può iniziare con il gioco della mente e poi abbandonarlo per un certo periodo, per poi riprenderlo alla fine. In ogni caso, comunque, è preferibile nell’arte, come in ogni altra manifestazione umana, non pensare al risultato, ma solo al processo attraverso il quale si riconosce il materiale vivente. Infine (forse) l’autore, come l’attore, deve darsi totalmente. Attenzione però: le emozioni osservate non sono più emozioni, sono imitazione, ipocrisia, narcisismo, isteria. E allora? Io non lo so, è un gran pasticcio l’etica artistica. La ricerca deve essere diretta da dentro se stessi verso l’esterno, ma non per l’esterno. Come se amassimo un ideale, un qualcuno che ci comprende ma che non abbiamo mai incontrato e di cui abbiamo una struggente nostalgia.
(Foto: Flavia de Lipsis
e Simone Castano
in Helter Skelter)